“Tante volte magari non ci ho fatto caso, ma in altre circostanze, però, mi capita che percorrendo qualche strada cittadina, mi soffermo in un punto perché la mente mi trascina obbligatoriamente ad accendere i riflettori su dei passaggi della mia infanzia.
Alfonso Burgio
Come nel romanzo de I RAGAZZI DELLA VIA PAL, anche noi ragazzini della via E. Toti avevamo il nostro “quartier generale”, questo era il serbatoio dell’acqua, tutt’ora esistente nella via Resistenza, dal quale pensavamo di dominare tutta la zona. Eravamo perennemente in “conflitto” con gli altri ragazzini residenti nel quartiere “Redentore” i quali rivendicavano che questo luogo appartenesse a loro e, quindi, ciò era la causa di dissidi che davano origine ad una rivalità che a volte scaturiva in veri e propri scontri. Consapevoli che dovevamo difendere con i denti quanto conquistato, usavamo diverse strategie per dissuadere il “nemico” ad avvicinarsi in quel territorio. Mi ricordo che facevamo delle incursioni nel loro quartiere andando a distruggere la loro “fortezza” che consisteva in una specie di accampamento messo su con del materiale quale canne, cartoni ed altro. Diverse volte l’incursione andava a buon fine nel senso che riuscivamo nel nostro intento, altre volte invece incappavamo in una trappola dalla quale con molte difficoltà ne venivamo fuori, poichè dovevamo scansarci dalla massiccia “sassaiola” che ci era stata riservata. Questi episodi succedevano diverse volte e siccome riscontravamo che il pericolo di volta in volta era sempre più grande, si decise di dare seguito ad un armistizio. Infatti, intuendo che tra le parti c’era un reciproco timore, si fece in modo che ci incontrassimo con la classica “bandiera bianca”. Ebbene, ricordo che si pervenne ad un accordo il quale prevedeva che dovevamo porre fine a questi scontri così “cruenti” e di sfidarci, invece, in delle partite di calcio dalle quali il vincitore poteva finalmente godersi, senza più rivendicazioni, il luogo conteso. Dopo alcune partite pattuite, noi ne uscimmo vincitori, ed i vinti, stringendoci la mano, accettarono il responso senza battere ciglio. Ma noi ormai appagati della vittoria, decidemmo che loro potevano attraversare quella zona, prima proibita, in tranquillità perché oramai non eravamo più dei rivali ma semplicemente dei ragazzini che rispettavano i patti. Roba d’altri tempi..”
Alfonso Burgio: Quando l’infanzia era da raccontare
Alfonso Burgio: Quando l’infanzia era da raccontare o come si dice roba d’altri tempi. Questi sono i giochi di strada che qualche decennio fa vedevano protagonisti i nostri genitori. Passatempi che oggi, a causa del cambiamento che ha subito la società, non esistono più, rimanendo un ricordo di chi è stato figlio degli anni 50 in poi. Giochi che tenevano impegnati i bambini lungo le vie delle città quando le automobili erano ancora un lusso e la televisione era centellinata. Offriva spazio alla creatività e dava la facoltà di impiegare il tempo con ogni mezzo possibile. All’epoca si diffondevano le gare automobilistiche e un gioco riprodotto dai bambini, erano le discese coi carrettini che scorrazzavano in lungo e in largo, intenti ad emulare i loro beniamini delle 4 ruote. Mezzi creati con tavole di legno e ruote di diversa origine. Altro ricordo è il gioco delle biglie, palline di vetro colorate che una volta tirate, dovevano entrare nelle buche. Oppure l’intramontabile nascondino (gioco ancora diffuso oggi). O ancora la trottola. Nell’era in cui non esistevano strumenti che favorivano la comunicazione, era il carattere e lo spirito di aggregamento a determinare il rapportarsi tra i ragazzi che avevano voglia di scoprire il mondo esterno. Questo è uno scenario che ha caratterizzato l’intera nazione italiana, in particolar modo la Sicilia che è stata da sempre contrassegnata dal carattere caloroso e istintivo della propria persona divenuta famosa nel mondo grazie ad esso. Canicattì che da sempre ha rappresentato un polo di aggregazione economica e culturale, ha tante storie da raccontare specialmente quelle che avvenivano nelle strade e nelle piccole viuzze in cui vivevano numerose famiglie, in piccole abitazioni. Così nascevano le famose comitive che marcavano i territori trasformandoli nella loro conquista sull’imposizione di una leadership giovanile. Ogni comitiva funzionava con una vera e propria gerarchia costituita dalla classica vincita del così detto “più forte”. queste piccole gang amorose e tenere erano la rappresentazione in miniatura del carattere padronale che da sempre ha espresso il nostro stile di vita. Non a caso si facevano delle vere e proprie spedizioni per esplorare nuovi territori tra i quartieri della città. Cosa succedeva quando veniva scoperto un territorio favorevole ad una tipologia di gioco, che ancora non era stato ben delineato? Iniziava la lotta per la conquista. Si riunivano in piccole squadre per costruire vere e proprie strategie volte ad affermare la propria leadership territoriale. Non voglio anticiparvi nulla perchè Alfonso Burgio a raccontarci in prima persona una sua simpatica vicenda infantile. Così si esprime facendoci vivere in prima persona quello che si provava a vivere una simile avventura.
Cosa ci insegna Alfonso Burgio? Cosa notiamo da questa affascinante avventura?
I ragazzi di allora vivevano all’insegna dei rapporti umani che venivano coltivati di giorno in giorno grazie alla capacità di sapersi confrontare personalmente con gli altri. I ragazzi si impegnavano nel piacere agli altri mediante l’uso dell’intelliggenza, della simpatia e della comunicazione con il suo grado di conoscenza che poteva essere più o meno denso di cultura. Tutti avevano un comune denominatore ed era quello di stare insieme, avere un contatto reale e riuscire a conquistare gli altri mediante la propria abilità nel sapersi affermare. I ragazzi conoscevano i valori, potenziavano il proprio carisma tramite l’intelligenza e la caparbietà nel sapere apprendere da chi ne sapeva più di loro. Oggi i ragazzi si sono trasformati in Hikikomoro. Concludo dicendo che questi erano i tempi in cui si viveva a 360° il proprio contesto sociale e non chiusi in una stanza con un telefono in mano nella speranza di riuscire ad aumentare la propria soddisfazione personale tramite la ricerca di qualche misero like in un mondo virtuale ricco di finte amicizie manipolate da pochi potenti che vedono l’intelligenza e lo sviluppo di un popolo come un’ostilità. Di certo qualcuno ha dimenticato che vivere per finta significa morire veramente.
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