Fotografia o selfie: chi la vince?

Fotografia o selfie: chi la vince? Fotografia. Immaginazione, rappresentazione, commemorazione dei ricordi, racconto dei propri sentimenti….. Il tutto che si racchiude in una semplice parola: arte, senza tempo e senza sosta. La fotografia è un’opera selettiva, nata nel lontano 1839 che a causa della diffusione della tecnologia patisce la diffusione a dismisura delle immagini, accusando una sofferenza di un eccesso di successo. Oggi, tecnologia e smartphone, consentono di poter scattare con estrema velocità, una quantità innumerevole di foto. Fotografia o selfie: chi la vince? Pochi sono i dubbi sulla loro efficacia: anzi in molti casi consentono una comunicazione istantanea ma tra i click rapidi, prevale la moda del selfie. Il selfie è una parola inglese che deriva da self, cioè da se stesso, da se ed è una fotografia scattata a se stesso con uno smartphone o tablet per poi essere diffuso in rete, differenziandosi così dal termine autoscatto. Selfie: autoritratto scattato per moda, narcisismo, egocentrismo quindi effettuati per mostrarsi al mondo per ciò che si è ma al contempo con la speranza di superare l’ alienarsi nei confronti della società. Oltre a cercare di dar lustro a chi effettua l’autoritratto, cela anche elementi negativi quali violazione di privacy, rilasciando a volte troppe informazioni a chi non si conosce: se ben usata può portare solo vantaggi. Con il termine selfie, contestualmente nasce anche la figura del “fotografo improvvisato”, costruito sulla base di immagini del proprio essere, riducendosi al gioco estetico facendo prevalere il voler sembrare sull’essere. Selfie uguale era post-fotografica. Secondo  Ferdinando Scianna, si assiste all’era nella quale il fotografo è soppiantato dall’autoritratto selfaro  opprimendo sempre più la figura del fotografo che esegue un ritratto. La nascita della fotografia, è la raccolta di immagini, fondamentali per raccontare la storia e se stessi,  da divenire una vera rivoluzione della psiche dell’uomo. Tali immagini sono uno strumento di auto rappresentazione, tralasciando l’essenza del soggetto e della sua posa. A conclusione, il selfie non è altro che un remake della polaroid dalla scarsa qualità, evidenziato da una dannazione eccessiva della ristretta visione del sano egocentrismo in quanto in esso si può solo avere una visione ristretta apparente del proprio essere, sfuocando tutto il contorno. Tende ad essere un’immagine che poco ha da raccontare, da un like istantaneo ma comunque sempre limitato nell’interpretazione e nel ricordo. La fotografia, essendo forma di arte, con l’interazione del fotografo nei confronti del soggetto e la contestuale attenzione della sua posa, rappresenta una visione più larga, più profonda, paragonato ad un viaggio nel tempo di ciò che si desidera voler raccontare e ricordare. Fotografia: arte in continuo movimento nel tempo nonostante la staticità del momento.

Fotografia sperimentale di Giuseppe Lo Pilato.

Fotografia sperimentale di Giuseppe Lo Pilato. Giuseppe Lo Pilato, classe 1967, originario di Agrigento e Raffadalese di adozione, è incline alla fotografia già dall’età adolescenziale. A 16 anni acquista la prima reflex ma la sua passione per la fotografia è indomita già dalla tenera età. Giuseppe racconta che nel periodo della sua adolescenza si usava ancora la pellicola e gli errori si potevano constatare solo al momento dello sviluppo. Contestualmente, all’ epoca non vi erano altri appassionati e quindi il confronto era pressochè impossibile, quindi per tali circostanze, Lo Pilato ha dovuto formarsi da solo. Lavorando a scuola, a inizio degli anni novanta, per motivi lavorativi si è dovuto trasferire al nord, nel Veneto, dove ha avuto la fortuna di conoscere diversi appassionati e guru della fotografia, potendo così affinare la tecnica, imparando a scattare anche con l’ infrarosso. Fotografia sperimentale di Giuseppe Lo Pilato. Giuseppe è amante delle tradizioni e del vintage. Per Lui, fotografare è raccontare se stesso ai propri interlocutori. Crede che nell’animo di tutti risieda la gioventù e la spensieratezza di un passato lontano del quale il profumo della sua spensieratezza inebria la contemporaneità. Infatti, si definisce fotografo amatoriale con la vocazione della tradizionalità nella contemporaneità. Fotografia sperimentale di Giuseppe Lo Pilato. Giuseppe è un tutt’uno con la macchina fotografica: due corpi distinti e separati con l’anima del viaggiatore libero. A tratti, è anche uno spirito ribelle ed oltre a nutrire amore verso la fotografia, è appassionato di motori. Anche nelle occasioni dei raduni, ai quali tutt’ora partecipa, sempre con grande entusiasmo e vitalità, porta con se la sua amata reflex, per poter rivivere e condividere i momenti di gioia e allegra follia da teenager. Giuseppe vuole mantenere vivo in sè momenti di un passato prossimo ma che è sempre presente nel suo animo. Molte delle sue opere sono reminiscenze della sua adolescenza e scatta di tutto, dai paesaggi, dallo street ma il soggetto principale è la figura umana, cercando di carpirne l’anima e la sua intimità. Essendo una persona estremamente sensibile, cerca di inserire il soggetto nell’ambiente in cui vive, cercando di raccontare il passato plasmato al presente. Per Giuseppe fotografare significa cogliere ogni momento per richiamare ciò che si ha vissuto e riviverlo nuovamente, intensamente, toccandolo realmente con mano, beccando l’attimo che la vita propone. Giuseppe Lo Pilato: Persona dallo spirito libero, conservatore del tempo passato nella quotidianità.

 

Internet: salvezza o isolamento dell’hikikomoro?

Internet: salvezza o isolamento dell’hikikomoro? E’ sempre più diffusa la patologia degli hikikomoro. L’etimologia della parola deriva dal verbo hiku (tirare indietro) e komoru (ritirarsi). Infatti, i perseguitati, abituati oggi ad avere tutto e subito, piombano nel vortice dell’inadeguatezza della società moderna nel momento in cui le proprie aspettative vengono deluse. Nel XX secolo, questa patologia è stata individuata con l’abuso della tv ma non riconosciuta come vero e proprio caso patologico, in quanto, il rapporto interpersonale è stato fondamentale e comunque sempre valorizzato. Internet: salvezza o isolamento dell’hikikomoro? E’ una sindrome molto complessa poichè stringe problematiche già molto diffuse. E’ opportuno precisare che gli hikikomori non sono depressi ma vivono di un forte senso di inadeguatezza verso la società circostante, che probabilmente scorre troppo in fretta, o ancora, convinti di non riuscire a soddisfare sia le loro aspettative che quelle dei genitori. Questi ultimi, spesso sottovalutano il problema che possa affrontare il proprio figlio/a, confondendo l’essere fannullone con le reali difficoltà sociali. Può anche succedere che il soggetto sia vittima di bullismo. Ancora altre cause possono essere debolezza nella capacità di stringere relazioni, insicurezza, perdita dell’impiego, vergogna, scarsità di motivazioni, padri assenti e madri iperprotettive o eccessivamente accondiscendenti. Un mix distruttivo di tutte le piaghe sociale oggi esistenti. La patalogia da hikikomoro, sempre più largamente diffusa ma ancora poco conosciuta, colpisce sia maschi che femmine, compresi in una fascia di età tra i 12 e i 35 anni. E’ un fenomeno diffusosi in Giappone già dalla metà degli anni 80 ed oggi colpisce l’1% della popolazione, toccando quota pari ad 1.000.000. Tale fenomeno si sta diffondendo in tutta l’Europa e in Italia sono circa 100.000 gli adolescenti dichiarati affetti da questa sindrome, anche se probabilmente la soglia può essere ben più elevata. Primo effetto scaturito da questa sindrome è il rifiuto di andare a scuola che alla lunga può comportare un vero e proprio isolamento. La vita dell’ hikikomoro, è racchiusa tra le quattro mura della propria stanza, dove il giorno diventa la notte e viceversa. Può passare da un tempo minimo di isolamento di sei mesi ad anni, nei casi più estremi. Non vi è nessuna forma di contatto e dialogo con i genitori. Passa il tempo tra libri, video giochi e internet. Internet: salvezza o isolamento dell’hikikomoro? Proprio internet, più volte criticato per l’ eccessiva disinformazione e per alcuni aspetti, usato come maschera e bullismo, celandosi dietro l’anonimato, nel caso specifico, è l’interazione e comunicazione tra i ritirati, dando loro la possibilità di tornare al mondo, potendo restare in contatto tra loro. In queste circostanze la famiglia non deve assolutamente forzare i tempi di reazione. E’ compito dello specialista, con i mezzi e appropriati  e i tempi tecnici, riuscire a mettersi in contatto, con i ragazzi stessi, essendo loro a non voler cercare altro contatto se non con la rete stessa. Alla luce di ciò segue, una puntualizzazione probabilmente amara e cruda: il XXI secolo è l’era della regressione. Sono più i casi di individualismo e di egoismo che quelli del tanto citato cambiamento, dettato da una scarsa voglia di mettersi in gioco. Il cambiamento è un’utopia. Le piaghe sociali sono l’input della distruzione dell’avvenire. Difficile ma si dovrebbe provare ad avere un punto di vista diverso per ciò che circonda l’essere umano. La quotidianità è come la fotografia con la sottile differenza che quest’ultima viene osservata con occhi, mente e cuore immortalando quell’immagine, rimanendo viva e impressa nella mente, cogliendone l’essenza. La prima è un insieme di immagini che scorrono inesorabilmente, dissolvendosi così, come nebbia.

Colori e luci di Alberto Monte

Colori e luci di Alberto Monte. Alberto Monte, nato a Palermo IL 29/03/1948 e professionista nel settore della consulenza del lavoro, è fotografo da oltre 30 anni per passione. Secondo Alberto, con lo scatto, la fotografia è il ricordo dei ricordi. Tutto ciò che si incontra nel proprio cammino, può essere dimenticato e con la passione che riserva nella fotografia immortala il momento portando con sè il ricordo che fu. Essendo una persona molto emotiva ed un viaggiatore, Il Monte tende a raccontare le emozioni di ciò che incontra lungo il suo cammino, ricordando contestualmente persone, cose e anche la vita stessa. Colori e luci di Alberto Monte. Per Alberto, fotografare significa immaginare, poichè lo scatto, se non è effettuato con il cuore, rimane sempre uno scatto. Colori e luci di Alberto Monte. La passione o meglio dire amore di Alberto nei confronti della fotografia , che da anni professa, sperimentandone e affinandone la tecnica, é alimentata dal fatto che le foto non si fanno solo ed esclusivamente con la macchina fotografica ma si fanno con la testa, con gli occhi, con il cuore. Con il ritratto, si immedesima nel momento, nel luogo e nel soggetto che ha davanti, raccogliendo l’essenziale e raccontando così le sue emozioni, immortalate in quell’istante fermando il tempo. Tempo che coesiste in un movimento fisso e costante, che arriva agli occhi e al cuore del suo osservatore. Quando le sue emozioni, colpiscono l’animo dello scrutatore, Alberto ha raggiunto la stasi del suo cammino fugace, poichè l’immagine che racconta è come un a passeggiata lungo un sentiero rettilineo privo di ostacoli. Immaginare, sognare, fotografare: essere liberi. Da ciò che esprime, nelle foto e da come si racconta, Alberto, non si definisce fotografo ma grande sognatore e probabilmente artista, poichè racconta se stesso. Infatti l’artista, non segue il successo (avendo regole e compromessi ma segue il suo percorso, senza vincoli ma solo rimanendo se stesso. Non segue nemmeno le storie ma cerca qualcosa, qualcuno per rispecchiarsi e abbandonarsi a se stesso, raccontandosi, poichè è certo che tra capire ed essere capiti c’è un mare di differenza. Alberto: Il cantastorie delle emozioni.

    

Carenza di genitori: la moda del XXI secolo!

Carenza di genitori: la moda del XXI secolo! Ancora una volta il Bel Paese che fu, registra l’ennesimo tratto avverso. Oltre alle già forme di negativismo alle quali si è abituati a vivere ed osservare, si assiste al forte calo della natività. In base agli ultimi dati Istat, nell’ultimo decennio sono scomparse ben 900 mila mamme, portando l’età media del parto alla soglia del trentaduesimo anno di età. Contestualmente l’uomo si affaccia alla paternità alla soglia dei 35 anni. Carenza di genitori: la moda del XXI secolo! Carenza delle natività. In italia non si va oltre il primo figlio poichè il primo lo si fa già tardi a causa di SCARSA autonomia economica, dovuta alla carenza del lavoro causando il limite all’indipendenza, che ormai i giovani escono di casa oltre la soglia dei 30 anni. In italia si assiste alla carenza dell’individuo, scaturita da una classe politica poco efficiente, con leggi e limiti assurdi che non costituiscono un sostentamento congruo per la propria indipendenza. A causa di ciò, a differenza degli altri paesi europei, in Italia si assiste ad un aumento della disoccupazione nella fascia compresa tra i 25 e i 34 anni. Non c’è coraggio e libertà di scelta.  Come può esserci evoluzione in questa società? Può risiedere parte di questa colpa anche nei genitori stessi? Carenza di genitori: la moda del XXI secolo! E’ risaputo che il mestiere di genitore non è per niente facile. Educare non è facile ma spesso succede che il genitore stesso tenda ad essere molto permissivo col proprio figlio, mancando di autorevolezza e tale mancanza è dettata dall’inefficacia capacità di sapersi ascoltare e saper ascoltare il figlio.  I genitori, devono cercare di imporre una sana educazione ma spesso ciò è difficile, in quanto più delle volte, una delle due figure, essendo più permissiva dell’altra, inconsciamente vizia. Viziare il proprio figlio significa spesso e volentieri creare il bambino onnipotente, essendo elogiato più del dovuto. Al più delle volte, la scarsa autorevolezza del genitore spinge l’erede ad essere protagonista del mondo. Figli troppo presi da un eccesso di individualismo a causa di un’educazione difficile da inculcare, scoraggiati da una società che incoraggia i giovani stessi a non voler nè lavorare ne creare una famiglia. Sorge spontanea la seguente domanda: come si fa a chiedere ad un Neet l’impegno di formare una famiglia e di diventare genitore se lui stesso fatica a emanciparsi dal ruolo di figlio?

La fotografia secondo Katia Bellia

La fotografia secondo Katia Bellia. Siamo oggi a parlare con Katia Bellia e della sua passione verso la fotografia. Katia, originaria di Palma di Montechiaro, cittadina sita in provincia di Agrigento con un forte impatto storico e culturale, sin da bambina, è stata sempre affascinata dal mondo della fotografia. Sostenuta sin da piccola dal padre in questo affascinante mondo, Katia ha mostrato subito del talento. La fotografia secondo Katia Bellia! Katia stessa racconta infatti la sua prima esperienza di fotografa in tenera età, ricordando di aver scattato delle foto ritraendo immagini dei dinosauri del parco a tema, perfettamente inquadrate e nitide, creando comunque dello scalpore per le capacità dimostrate, nonostante la giovanissima età. Partendo da questo presupposto, anche le maestre della sua classe decisero di esporre le sue foto e durante l’esposizione stessa, un fotografo, ammirando la nitidezza di tali foto, rimase sorpreso dalle ottime inquadrature effettuate da una bambina. Katia, racconta ancora che catturata sempre più dal fascino dell’arte della fotografia, sia sia sempre più intercalata, abbia sperimentato buona parte delle tecniche sia di scatto che l’uso di photoshop. Per la nostra katia, la fotografia è la possibilità di riuscire a poter cogliere con un semplice scatto la vera essenza delle cose, per immortalare momenti, persone, monumenti che resteranno un ricordo. Per lei fotografare rappresenta una forma di arte, dando così la possibilità di esprimere il proprio essere. Katia è una studente di Lingue e culture Moderne e ha deciso questo indirizzo di studi grazie alla sua profonda passione per la fotografia, desiderando di diventare una professionista del settore, lavorando anche in altri Paesi. Katia è una sognatrice dalle idee ben chiare e i piedi per terra e analizzando alcuni suoi scatti , si evince che è insito in lei quel tocco fanciullesco e quel tocco di estro che non devono mai mancare evidenziando allo stesso tempo una semplice consapevolezza: per realizzare i propri sogni bisogna lottare, con passione, dedizione ed umiltà, senza mai perdere la voglia di imparare e approfondire le proprie conoscenze. La passione è l’umiltà sono le basi con le quali Katia, vuole raggiungere il suo sogno.

 

Narcisismo: patologia da serial killer?

Narcisismo: patologia da serial killer?  Quotidianamente si sente parlare di violenza e varie sono le forme di violenza. Il preambulo della prepotenza sta nella violenza psicologica e svariate sono le cause, spesso delle vere e proprie patologie . I disturbi psichiatrici sono vari e tra questi, risulta esservi la classe dei narcisisti. Narcisismo: patologia da serial killer? Il narcisismo offre una moltitudine di significati ma comunemente, è un tratto della personalità. Normalmente è l’utilizzo della parola narciso come sano amor proprio, ma spesso e volentieri, è il termine usato per descrivere i problemi di una persona, legato a problemi di relazione con gli altri ma in particolar modo con se stesso. Il narcisista, vive solo ed esclusivamente del proprio io. L’accentuazione dell’ego tende ad essere una forma di malattia, spesso non conosciuta dal soggetto. Il vanaglorioso è vittima di se stesso, prigioniero dell’io primitivo, incapace di provare affetti ed empatia verso gli altri, al di là di se stesso. Narcisismo: patologia da serial killer? Nella scala dei disturbi psichiatrici, questo viene poco prima degli psicopatici, forma di serial killer che oltre ad usare, premeditatamente la violenza fisica, utilizza verso la propria vittima la violenza psicologica. Nel narcisista, è presente la manipolazione dell’altro individuo, che attraverso lusinghe brevi e limitate nel tempo, hanno sempre come secondo fine un torna conto personale. Con questi tratti molto egoistici, il narcisista, definito maligno, è un individuo, affascinante e ammaliatore, camaleontico, che mettendo al primo posto la propria immagine dell’essere superiore, sfrutta con attenta e minuziosa strategia, la gentilezza come segno di affetto, quando invece sono distintamente la prima una qualità che non sempre coincide con il secondo che è un sentimento puro. Inoltre, raggiunto il suo obiettivo, il camaleontico narciso, mette da parte la sua vittima, come un oggetto, avendo già scrutato un’altra preda. Il narcisista alias “killer dell’anima”, gode nel vedere soffrire il proprio perseguitato tentando di distruggerlo in maniera sadica.

Ma quali sono le cause del narcisismo della personalità? 

La principale causa di questa patologia è da associare probabilmente al rapporto tra genitori e figli, distinguendoli in due casi:

  • Nel caso in cui i genitori, incapaci di dimostrare le dovute attenzioni e le cure verso il proprio figlio/a, generano durante la fase dello sviluppo del proprio bambino/a la necessità di incrementare con altri esseri rapporti privi di affetto, mirando all’autosufficienza assoluta, assumendo atteggiamenti di distacco e superiorità assoluta.
  • Nel caso in cui invece vi è presente un eccessivo attaccamento dei genitori, nel piccolo narcisista, può evidenziarsi un’eccessiva visione di sè, tralasciando altri comportamenti punendoli e ignorandoli. In entrambi i casi, il soggetto è privo di umanità e anche se a tratti, riaffiorano comportamenti pseudonormali, questi vengono nuovamente sommersi nell’oblio dell’ io più profondo.

Come curare il narcisismo?

  • Vivendo tra il mondo fittizio dell’io superiore con tratti pseudonormali, l’equilibrio del narcisista è molto delicato ed il primo passo per la cura è la psicologia individuale, attraverso la quale è possibile mediare da una visione eccessiva dell’io ad una condizione più reale e umana. Qualora forme di depressione e ansia sociale dovessero sopravvalere, la cura farmacologica risulta la più idonea.

Il magico mondo di Sergio Scarpulla.

Il magico mondo di Sergio Scarpulla. Sergio Scarpulla siculo, classe 1957, è uno dei fotoamatori più rilevanti della fotografia siciliana. Fotografo per passione, Sergio è uno dei fotografi più richiesti. Uomo di grande cultura, marito e padre molto presente, Il nostro Scarpulla è un esperto del ritratto fotografico. Il magico mondo di Sergio Scarpulla. Nella sua maturità della fotografia, è chiaro ed evidente, come riesce ad immortalare quel momento, quell’immagine, esprimendo quasi poesia. Ricordando che comunque la fotografia è un espressione di arte, come ogni artista, anche nella fotografia, l’interazione tra esteta e soggetto è fondamentale, poichè serve per esprimere e raffigurare al meglio lo stato puro di arte, messaggio chiave della fotografia. Non bisogna essere introversi. Carmelo Mulone asserisce che il segreto del buon fotografo è quello di immaginare la fotografia, entrando a stretto contatto con la foto e con il soggetto stesso, il quale quest’ultimo, deve potersi mettere a proprio agio, disinibendosi totalmente, tra uno scatto e l’altro. Nel momento dello scatto, si percepisce una sorta di magia la quale permette di esprimere ciò che in questo caso l’artista ha dentro di sè. E’ importante anche la preparazione psicologica del fotografo, dice Scarpulla. Qualsiasi tipo sia il soggetto da immortalare, l’artista, si prepara, andando a visitare lo stesso posto (trattandosi di ritratto paesaggistico) anche più di una volta se è necessario, proprio per immaginare e immortalare quel momento che si vuole raccontare. A fronte della sua esperienza di fotografo e della sua stessa passione, Sergio Scarpulla conferma che distaccarsi dal mondo circostante serve ad incrementare la propria sensazione con il soggetto e con ciò che si vuole esprimere. La fotografia è pur sempre una forma di comunicazione che mette in relazione due o più soggetti. Scarpulla, conclude dicendo che non ci debba essere competizione ma sana collaborazione nel caso in cui ci siano presenti più fotografi sullo stesso set fotografico. Tutti i fotografi sono artisti e nessuno è migliore dell’uno o dell’altro. Il magico mondo di Sergio Scarpulla ci insegna che il momento di interazione con se stesso e con l’ambiente circostante porta il fotografo al massimo momento di ispirazione artistica e lo dimostra con le sue opere fotografiche visionabili di seguito.

  

 

Medico rifiutato da una paziente perché è nero!

Medico rifiutato da una paziente perché è nero! Giovane medico camerunense è stato vittima di una forma di razzismo. La paziente, donna sulla sessantina, non gradendo il colore nero della pelle del medico, ha rifiutato di essere visitata da quest’ultimo. Andi Nganso, questo il nome della vittima soggetta alla discriminazione, è un trentenne che come tanti altri giovani, che per amore di svolgere il suo lavoro ha fatto la gavetta dall’hinterland milanese a Lampedusa. Il fatto, ha non poco infastidito il giovane, rimanendo esterrefatto di quanto ancora, nel 2018, possano ancora succedere spiacevoli situazione. La sua risposta ironica alla libera offesa con la bevuta di un caffè, ha fatto si che la notizia sia diventata virale, riconoscendo un plauso dalla comunità del suo operato. Ma ciò non toglie il fatto che ancora purtroppo, ci sia molta ignoranza. Purtroppo, questo è uno dei tanti casi di forme di razzismo che persistono ancora oggi nella nostra società. Il tutto suscita maggiore sgomento in concomitanza con il 27 gennaio, ricorrenza de “il Giorno della Memoria”. Durante questa giornata di sensibilizzazione, infatti vengono organizzati convegni, mostre nel ricordo della Shoah, delle leggi razziali, le persecuzioni italiane dei cittadini ebrei. Medico rifiutato da una paziente perché è nero! Ancora più gravi sono sono le forme di razzismo legati a forma di violenza fisica e psicologica sia tra i giovani che tra persone di età adulta. Nonostante le estenuanti campagne di educazione, il ricordo dell’orrore del passato, rimane “ombra del presente”, evidenziando che poco sia cambiato nella nostra comunità così tanto evolutasi nel tempo. Nella sostanza, tra l’uomo permane ancora il morbo dell’ignoranza. A conclusione, per rendere più esplicativo il concetto di ignoranza, è doveroso fare una citazione al filosofo Socrate: è sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s’illude di sapere e ignora così perfino la sua stessa ignoranza.” Medico rifiutato da una paziente perché è nero! Scritto da Carmelo Mulone.